L’obiettivo del Seminario, e poi della fase di Laboratorio, è fornire gli strumenti metodologici per il progetto di una architettura di scena, intesa come la costruzione di uno spazio articolato attraverso un sistema di parti che restituisce allo spettatore una visone non chiusa e “monolitica” della realtà, ma fatta di “frammenti”. Prassi che è stata molto indagata dalle avanguardie teatrali del primo novecento; si pensi ai tagli che operò Mejerchol’d nella dinamica del gesto. Una unità, che riguardi il gesto o la scena stessa, non restituita, quindi, attraverso un’immagine conclusa in sé ma attraverso un montaggio di parti ciascuna con un proprio ruolo ed una propria identità. E’ la poetica del frammento.

La metodica che verrà fornita, quindi, è quella della destrutturazione della forma e della sua ricomposizione attraverso un montaggio di parti in un nuovo organismo con un nuovo significato. E’ un andare sempre al di là del primo colpo d’occhio per arrivare a comprendere l’ordine logico che sottende una forma costruita. Prendendo spunto da recenti critiche, peraltro condivise, sulla natura troppo ingombrante delle scenografie stracolme di “roba”, che addirittura arrivano a soffocare ed oscurare la tipologia teatrale, ad opprimere gli attori e a non lasciare nulla all’immaginazione dello spettatore, si riparte dal concetto di spazio vuoto, non come assenza ma come presenza di valori e di concetti. «Vuoto e materia costruita formano la polarità base dell’architettura. Da Democrito in poi, si intende come vuoto quella qualità dello spazio che permette il movimento. (…) il vuoto si può aggettivare ed utilizzare come forma di definizione del luogo. (…). Costruire il vuoto significa inquietare o commuovere, calmare o rattristare. Con il vuoto si può favorire un’azione o inquadrare un soggetto o un oggetto, con esso si ordina e si purifica». (F. ESPUALES)

" ...ideare un oggetto – un arco, una fontana, una balconata, un letto – porlo al centro del disegno e metterci intorno ciò che secondo il testo è necessario far vedere. " (E.G. CRAIG)

Bisogna togliere, togliere, togliere per lasciare solo l’essenziale. E se si pensa alla definizione di Grotowski di teatro allora bisogna ripartire proprio dal rapporto attore spettatore perché il teatro è uno spazio di relazione; una relazione che stimola un immaginario non contemplativo ma di pensiero, di sogno, di fantasia, di nutrimento. Questa relazione vive dell’immediatezza della rappresentazione che deve liberare l’uomo, deve attivare la sua mente. E per fare questo c’è bisogno appunto di libertà, è necessaria un’apertura che non si ottiene con palcoscenici stracolmi di segni, di cose dove gli stessi attori ne risultano schiacciati. Qui scatta il meccanismo di costrizione del pubblico in un “predefinito” che non lascia spazio a nulla, che non fa andare al di là di ciò che si vede. Bisogna che ci siano dei vuoti, delle spaccature, che si apra e ci si apra:

" Tra il personaggio, che è condotto dall’artista, e la personalità dell’interprete si forma una fessura, uno spazio. In questo spazio penetra l’energia cosmica. Ne deriva una sorta di verticale attraverso la quale passa la luce. " (A. VASIL’EV)

Questa immaginaria verticale, attraverso la quale lo spettatore può inserirsi con il proprio bagaglio immaginativo, consente anche di riequilibrare e di ricreare un più dinamico rapporto tra la scena stessa e la tipologia teatrale, altrimenti sempre mortificata ed annullata. Gli oggetti, intesi come “frammenti di mondo”, sono naturalmente predisposti alle operazioni di manipolazione e di reinvenzione. Essi rappresentano la “magia evocatrice” di un racconto;

" dal momento in cui un oggetto compare in una narrazione, si carica di una forza speciale, diventa come il polo di un campo magnetico, il nodo di una rete di rapporti invisibili. Il simbolismo di un oggetto può essere più o meno esplicito, ma esiste sempre. Potremmo dire che in una narrazione un oggetto è sempre un oggetto magico». (I. CALVINO).

Nel teatro del ‘900 l’oggetto da elemento puramente descrittivo arriva ad assumere il ruolo di veicolo esperessivo, divenendo addirittura strumento di sperimentazione delle potenzialità sceniche del rapporto Corpo – Spazio – Movimento. La poetica dell’oggetto si sviluppa sia a livello drammaturgico sia a livello teatrale. Si indaga la possibilità di recuperare una dimensione ignota ed estranea al dominio razionale dell’uomo: la vita segreta e spettrale delle cose ovvero la vita interiore degli oggetti che si caricano di significato riuscendo a svelare realtà nascoste al di là delle apparenze. Ci si muoverà tra teatro, architettura e design prelevando ora da una ora dall’altra disciplina i temi fondativi del problema alla base del processo di progetto: l’oggetto e la sua rappresentazione. Vedremo come gli oggetti sono naturalmente predisposti ad operazioni di manipolazione e di rimodellazione e soprattutto sono predisposti ad una trasposizione spazio temporale che dell’oggetto originario “crea una diversità” che si carica di nuovi valori culturali. Durante il Seminario si affronteranno, quindi, questioni di TEORIA, inerenti la definizione della natura estetica dell’oggetto e la sua capacità di attivazione della “memoria emotiva”, e questioni di PRASSI inerenti le metodiche del processo di progetto dell’oggetto. Punto di partenza sarà la riflessione proprio sulla capacità evocatrice degli “oggetti” nel passaggio dalla parola all’azione, dalla pagina alla scena, nel processo di definizione di un sistema di immagini inteso come articolazione di segni che determina una “costruzione formale” ed una “produzione di senso”. La riflessione sulla natura della dimensione estetica dell’oggetto di arredo è necessaria proprio per poter operare consapevoli manipolazioni, di forma e di funzione su di essi, fino al punto in cui l’oggetto si libera ed entra

"…nella sfera della plurisignificazione, del disinteresse, della poesia… ". (T. KANTOR)

Il mio contributo in questa direzione è in una doppia veste; di scenografa e di progettista di oggetti di design. Mostrerò come il progetto di un oggetto, che sia di design o di scena, siano affini nell’approccio metodologico, seppur diversi nel loro valore semantico, ma entrambi necessitano della capacità ormai esaurita nella nostra modernità, di riuscire a pensare al loro aspetto “immateriale”, evocatore di una storia di un racconto relazionato però all’aspetto materialeche deve essere “costruito” mediante i mezzi propri di un rigoroso processo di progetto. Nel design c’è bisogno di maggiore “immaterialità” nella scena di maggiore “materialità”. Insomma una relazione osmotica tra le due discipline la cui strada è ampiamente percorsa già da grandi scenografi – architetti – designer, e che trova fondamenti teorici nell’idea di arte in tutti gli aspetti della vita di futuristica memoria.